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Sinodo: la Chiesa come compagnia che abbraccia l'uomo | Intervista a Don Matteo De Meo

di Redazione

«La Chiesa è sempre stata consapevole di essere in un “cammino insieme”, in un “progresso”, “semper reformanda”, verso Cristo, via, verità, e vita. In tal senso, una “sinodalità” intesa come un “camminare insieme” fa sempre più emergere la Chiesa come una “compagnia” che abbraccia l’uomo e l’umano nella sua interezza, senza compromessi e cedimenti nella Verità rivelata.»

Papa Francesco, nel giorno del Santo Patrono d'Italia, ha aperto la prima sessione del Sinodo dei Vescovi. In questi mesi ne abbiamo sentito parlare abbastanza, anche termini come «sinodalità» sembrano occupare la bacheca quotidiana della Chiesa. Ci può aiutare a capire meglio di che cosa si tratta questa esperienza che si prepara a vivere la Chiesa?


Il Sinodo dei Vescovi è un’istituzione ecclesiale antica, recuperata e valorizzata dal Concilio Vaticano II. Fu istituto da San Paolo VI il 15 settembre 1965 con il Motu Proprio Apostolica Sollicitudo. Un “recupero” avvenuta nel contesto del Concilio Vaticano II che, con la Costituzione Dogmatica Lumen gentium (21 novembre 1964), si era ampiamente concentrato sulla dottrina dell’episcopato, sollecitando un maggior coinvolgimento dei Vescovi cum et sub Petro nelle questioni che interessano la Chiesa universale. Il Decreto conciliare Christus Dominus (28 ottobre 1965) lo descrive in forma chiara e inequivocabile: «Una più efficace collaborazione al supremo Pastore della Chiesa la possono prestare, nei modi dallo stesso Romano Pontefice stabiliti o da stabilirsi, i Vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio propriamente chiamato Sinodo dei Vescovi. Tale Sinodo, rappresentando tutto l’episcopato cattolico, è un segno che tutti i Vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale» (n. 5). In tal senso il sinodo non può essere inteso come un “parlamento” o una forma di partecipazione “democratica” - con buona pace e senza nulla togliere alla bontà delle istituzioni democratiche (i cui esempi nella vita ecclesiale sono presenti sin dalle origini). Ancor più chiaramente lo esprimerà il Diritto Canonico della Chiesa Cattolica:


Can. 342 - Il sinodo dei Vescovi è un'assemblea di Vescovi i quali, scelti dalle diverse regioni dell'orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi, e per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo.


Can. 343 - Spetta al sinodo dei Vescovi discutere sulle questioni da trattare ed esprimere propri voti, non però dirimerle ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa.


Pertanto, Il sinodo dei Vescovi “è direttamente sottoposto all'autorità del Romano Pontefice”, concluderà il Can.344.


In tal senso-come suggerito dall’etimologia stessa del termine- “sinodo” significa “camminare insieme”. Quindi, I sinodi hanno carattere esclusivamente consultivo, e la loro missione principale è consigliare il Papa sul tema proposto.


E per “sinodalità”? Qui la chiarezza urge ancor più, essendo un termine suscettibile di diverse interpretazioni se non si conosce o si prescinde da quanto detto sul significato di sinodo. Provo a farlo nella forma più semplice. L'ascolto della storia, il dialogo con e nella Tradizione è per la Chiesa la prima forma di cammino sinodale, e quindi di “sinodalità”. La Chiesa è come una nave su cui viaggia tutto il popolo cristiano nel susseguirsi delle sue generazioni, con il loro bagaglio di esperienze e tenuto insieme dalla retta fede (cattolica e apostolica) compresa e vissuta. Pertanto, certa dell’assistenza dello Spirito Santo- Spirito di Verità- la Chiesa sa che la Tradizione è il “luogo” dove Dio continua a parlargli, permettendogli di offrire al mondo una dottrina sempre “nuova” e “immutabile”. Una immutabilità che non contraddice assolutamente il giusto “progresso”. Un “progresso” che gli stessi Padri della Chiesa avevano ben chiaro:

“Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande. Chi, infatti, può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra. È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto.” (Dal «Primo Commonitorio» di san Vincenzo di Lerins, sacerdote, Cap. 23; PL 50, 667-668) La Chiesa è sempre stata consapevole di essere in un “cammino insieme”, in un “progresso”, “semper reformanda”, verso Cristo, via, verità, e vita. In tal senso, una “sinodalità” intesa come un “camminare insieme” fa sempre più emergere la Chiesa come una “compagnia” che abbraccia l’uomo e l’umano nella sua interezza, senza compromessi e cedimenti nella Verità rivelata.


Ben chiarito cos’è un sinodo e compreso che si tratta comunque di un esperienza da cui si può trarre dei frutti, ci chiediamo: perché Papa Francesco ha deciso che in questo momento all’interno della Chiesa vi era la necessità di un Sinodo?


I sinodi nella storia della Chiesa sono stati sempre convocati per questioni urgenti e delicate riguardanti, appunto, “la salvaguardia e l'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo”. Nell’attuale Sinodo il tema è la “sinodalità”. Che più che un tema si propone di essere un metodo con cui la Chiesa dovrebbe procedere nell’ ascolto di tutti” in particolare di coloro che si sentono “esclusi”. I temi delicati sono tanti e interpellano profondamente la dottrina e la morale della Chiesa. Basta dar uno sguardo ai media per rendersi conto di divisioni e opposti schieramenti. La situazione non è affatto serena, e le criticità, certo, sono tante. Il rischio è quello di essere trasportati dal vento mediatico a destra e a sinistra. E Il pregiudizio, da qualsiasi parte venga, non aiuta, accrescendo ancor più confusione e divisioni, con una ricaduta di non poco conto sulla fede dei più deboli.


Tuttavia sembra che sull’attuale Sinodo siano state espresse numerose criticità. Sembra quasi emergere una sorta di divisione sul tema. A noi non interessa uno schieramento e pertanto le chiediamo: quale deve essere l’atteggiamento di un cristiano dove spesso la confusione di determinate situazioni ricade sulla fede dei più deboli?


Allora, qual è l’atteggiamento giusto per un cristiano? Nella confusione del “tutto e il contrario di tutto” come stare di fronte alla realtà? Come difendersi dalle trappole del “preconcetto” e dell’ideologia che contrastano con la ragione, mortificano l’intelligenza, e confondono la fede? Insomma, qual è il “metodo” per essere introdotti alla verità delle cose? Bisogna partire dalla ragione e stare alla realtà. Ovvero, rendere abituale in noi quel metodo che osserva la realtà a partire dalla ragione per verificare la fede: l’intelligenza della fede.


Tento di dirlo nella maniera più semplice. La definizione cattolica di fede è: “assenso dell’intelletto alle verità rivelate” pertanto, nell’esperienza cattolica della fede quello della volontà (assenso) non è assolutamente un ruolo secondario. Per cui tutto ciò che ci viene proposto, e che ha a che fare con la fede e la morale della Chiesa, necessita del nostro assenso. Un assenso che per essere retto richiede un coinvolgimento dell’“intelligenza”.


Quest’ultima è chiamata sempre e comunque ad indagare i fattori di credibilità o meno di una data affermazione, soprattutto se ha a che fare con le Verità rivelate. In sintesi, la conoscenza e il giudizio cattolico sulla realtà presuppone sempre l’indissolubilità fra fede e ragione. Quindi nell’ambito della fede cattolica il cristiano sa che il ruolo dell’intelligenza è insostituibile. San Paolo indica siffatto metodo quando afferma che per non spegnere la novità dello Spirito è necessario “vagliare ogni cosa e trattenere ciò che è buono” (cf. 1Ts. 5,22).


Inoltre, l’intelligenza di cui si sta parlando è propria di tutti, è possibile a tutti. Nella dottrina cattolica le verità di fede sono e devono essere verificabili intellettivamente da parte di qualsiasi intelligenza e in nessun modo possono contrastare la ragione. La fede non prescinde dalla ragione e quindi necessita dell’uso dell’intelligenza. Pertanto, cattolicamente parlando, l’intelligenza della fede significa coinvolgere l’intelletto in tutte quelle affermazioni che ci vengono presentate come verità, e ancor più, se di fede o di morale. Un metodo che è per tutti; non solo per uomini di cultura o specialisti, ma ancor più per coloro che potremmo definire i “deboli” o “semplici”. Ogni cattolico deve rendere ragione delle verità in cui è chiamato a credere verificando se è credibile o no una determinata affermazione. Una “verifica” che per i contenuti inerenti alla divina rivelazione, è a disposizione di tutti. Una fede che volesse prescindere dalla sua verificabilità potremmo definirla una fede “intellettuale” e quindi ideologica. E può arrivare ad imporsi anche se dovesse contrastare la ragione stessa fino a deformare la stessa realtà oggettiva delle cose. Una fede “contronatura” la definirebbero i Padri orientali. Infatti, che cos’è l’ideologia se non la pretesa del pensiero di voler far a meno dell’ ”osservazione” fino a deformare il reale in ciò che si pensa, per giustificare ciò che si vuole o si desidera?! Ecco questa è l’unica posizione intelligente e non intellettualistica per stare di fronte alla realtà (vagliare) trattenendo ciò che è vero, rifiutando ciò che è falso senza cadere nel pregiudizio. E… senza lasciarsi trasportare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina” (cf. Ef 4,11-16) spesso confuso con il “vento dello Spirito”.



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