Redazione Tempi
All'incontro di Milano, il cardinale ha raccontato della situazione della comunità cristiana in Terra Santa e di come si possa conservare la speranza in questo momento difficile
«Pregate per la comunità cristiana di Gaza. L’operazione di terra sta per cominciare e le preoccupazioni sono tante. Per tutti, non solo per loro. E pregate perché questa situazione finisca presto e si possa ricominciare». Ha concluso così il suo intervento ieri all’incontro organizzato a Milano da Tempi, Esserci, Rosetum e Aic, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca dei latini. Collegato da Gerusalemme e intervistato dal giornalista Giancarlo Giojelli, Pizzaballa ha parlato della situazione della comunità cristiana in Terra Santa, ma anche molto di sé, di come lui stesso stia vivendo questo momento difficile.
La comunità cristiana di Gaza
L’incontro aveva proprio questo tema: come si può ancora conservare la speranza in un momento tanto drammatico, scatenato dall’attacco dei terroristi di Hamas il 7 ottobre? «La nostra speranza è Cristo risorto», ha detto il cardinale. «La piccola comunità cristiana di Gaza ha tutti i motivi per essere disperata: hanno abbandonato le loro case, vivono alla meno peggio nel complesso della scuola che non è attrezzata per queste cose. Non ci sono le docce per 700 persone, ad esempio, e tutto intorno cadono le bombe».
Tuttavia, ha aggiunto il cardinale «ascoltando le loro testimonianze, li vedo spaventati ma anche vedo la loro fede semplice, vera e autentica che dà loro la forza di vivere dentro quella situazione in modo libero. Ecco, quando vedo loro mi dico: ho incontrato il Risorto. La resurrezione la si incontra nelle persone che la testimoniano. Dentro una tragedia immane, la morte di cui sono circondati – in 18 sono morti tra i cristiani – io vedo Cristo risorto nostra speranza dentro gli occhi e la vita di quelle persone. Per me l’ultima parola l’avranno loro, qualunque cosa accada».
Pizzaballa: «È un’ora buia»
Pizzaballa ha parlato di un momento in cui a prevalere sono «l’odio e rancore. È una situazione diabolica e l’unico antidoto è l’amore. Ma anche qui occorre essere concreti: l’amore non si spiega, si incontra. Finché ci saranno persone che danno la loro vita concretamente dentro questa situazione, ecco lì vedi che c’è un antidoto. Nei media non si parla di questo: ma ci sono tantissime persone ferite che soffrono per questa situazione. È una sofferenza sana perché non ti fa chiudere dentro se stesso. È un’ora buia, in questo momento la parola del male sembra prevalere. Ma noi non cederemo mai, vogliamo essere luce».
Il patriarca ha parlato anche della preghiera cui ha inviato tutti pochi giorni fa con una giornata di digiuno, così come ha fatto papa Francesco. «La preghiera non risolve, non è un atto magico», ha spiegato. ma un modo per entrare in relazione «con Dio: ascolti, hai coscienza di non essere solo. La preghiera rende la presenza di Dio reale e vicina. I miracoli possono accadere, perché no? Non ci saranno soluzioni magiche ma saranno un modo di vivere questa situazione».
Si può essere incompresi
In un momento come questo, si può fare poco. Spesso anche solo una parola diventa occasione di scandalo e incomprensione. Per cui «la prima cosa è esserci e avere il coraggio di dire una parola di orientamento che parta dal Vangelo e torni al Vangelo. Sapendo che in questo momento di tensione, ciascuno vuole che tu dica quello che lui vuole sentire, bisogna anche accettare che tu possa non essere compreso. Bisogna rimanere sempre come un padre, disponibile, aperto, chiaro, sapendo che si può essere incompresi».
E ancora: «Siamo talmente pieni di dolore che non troviamo spazio per il dolore dell’altro. Siamo talmente bisognosi di comprensione che non troviamo spazio per la comprensione dell’altro. Questo è il frutto più amaro di questa orribile guerra».
Pizzaballa: «Scegli la vita!»
Da ultimo, il cardinale ha ripreso il filo di un discorso da lui iniziato già in alcune interviste. Dov’è l’uomo? Dov’è Dio? «L’uomo è qui, ma dobbiamo sempre ricordarci che l’uomo può non rispondere alla chiamata di Dio. Può anche decidere di non rispondere. C’è Abele e c’è Caino, fin dal principio. La sfida non è chiedersi dov’è Dio o l’uomo, ma chiedersi cosa ne facciamo della nostra umanità e della nostra libertà. Nell’Antico e nel Nuovo Testamento si dice sempre al popolo di Dio: hai di fronte a te la maledizione e la benedizione, la vita e la morte, ma scegli la vita! L’uomo è lì, deve sempre rispondere a quella domanda. Lo abbiamo visto qui, in Terra Santa, ma anche in altre parti del mondo, che l’uomo può scegliere di non rispondere a quella chiamata di Dio. Ma questo non significa che la chiamata di Dio non ci sia o che Dio sia assente o che l’uomo sia solo malvagio. Bisogna avere il coraggio di vedere le cose belle che ci sono: le tante persone che non permettono a questo male di prevalere».
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