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PERDONARE L'IMPERDONABILE | Aficionados

Articolo di Maria Paola Santucci e Carmela Di Lella

Il 27 gennaio, che coincide con la liberazione del campo di Auschwitz, ricorre la Giornata della Memoria, istituita nel 2005 in ricordo delle vittime della Shoah. Una terribile vicenda procurò la morte di ebrei, zingari, disabili, seminaristi e preti cattolici, colpevoli di esser nati e di essere ostacolo alla realizzazione del folle disegno hitleriano.


In questi giorni abbiamo avuto modo di ascoltare un’affermazione della senatrice Liliana Segre, deportata ad Auschwitz quando era solo una bambina e sopravvissuta all’orrore dei campi di concentramento. Nell’ultimo suo discorso ai giovani, ad Arezzo, dice: «non ho mai perdonato, come non ho dimenticato, certe cose non sono mai riuscita a perdonarle». Una frase forte, forse lecita per una donna che ha vissuto un tale dramma. Tuttavia questa osservazione ha rievocato in noi l’esempio di San Massimiliano Kolbe. Egli, consumato dall’infinito amore per Cristo e l’Immacolata, viene arrestato in Polonia nel febbraio 1941 dalle SS, infastidite dalla sua “strategia dell’amore” che trovava fondamento in Cristo. Il campo di concentramento non fu mai un ostacolo alla sua missione cristiana: continuò clandestinamente a celebrare Messa, a pregare, a esser Presenza di Cristo verso i suoi compagni prigionieri. Diede prova della sua profonda fede e del suo amore a Gesù fino all’ultimo: infatti padre Kolbe offrì la sua vita, chiedendo di essere fucilato al posto di un padre di famiglia.

Hans Bock, capoblocco dell’infermeria, qualche anno dopo raccontò che mentre stava iniettando a Kolbe l’acido fenico, il frate gli disse: «lei non ha capito nulla della vita, l’odio non serve a niente, solo l’Amore crea». Chissà se le SS hanno sperimentato, davanti a quell’uomo agonizzante, lo stesso perdono che i centurioni romani sperimentarono ai piedi della Croce. “Solo l’Amore salva”, anche se apparentemente sembra vincere il male e la morte. Kolbe in quella stanza è stato testimonianza di quell’Amore che solo dal Cristianesimo può nascere. E’ questo che ha reso eterna la sua vita, nonostante San Massimiliano non sia mai uscito da quel campo di concentramento.


La stessa Segre afferma che “l’amore vince l’odio”. Ma sebbene questo sia uno dei sentimenti più nobili, se non poggia su un Altro, di fronte al male e al peccato non regge, e, come nel caso della senatrice, non lascia strada al perdono.


Papa Benedetto XVI fu toccato in prima persona dalla furia nazista: vide suo cugino Joseph, 14 anni con sindrome di Down, essere strappato dalle braccia dei genitori e poi ucciso perché ritenuto “un elemento difettoso”. In un’udienza generale del maggio 2012, il Papa emerito afferma: «Nulla può migliorare nel mondo se il male non è superato. E il male può essere superato solo con il perdono. Un perdono che non allontana il male solo a parole, ma realmente lo trasforma». E ancora: «Non c’è giustizia senza perdono, ma nello stesso tempo il perdono non sostituisce la giustizia e non significa negazione del male, né deve far venire meno la denuncia della verità del peccato. Il concetto di perdono nel cristianesimo fa nascere una nuova idea di giustizia che non si limita a punire ma riconcilia e guarisce di fronte ai contrasti nelle relazioni umane, dove siamo portati a non perseverare nell’amore gratuito, che costa impegno e sacrificio».


Il Cristianesimo, anche di fronte al più grande male di tutti i tempi, genera il perdono, ma per perdonare i fratelli occorre sacrificio. Il cristiano è capace di perdonare anche il suo peggior nemico, perché è proprio quello che fa Cristo con noi, indipendentemente dai nostri peccati. Lui fu mandato a morire da quella stessa umanità che volle salvare, assumendo tutti i peccati su di sè. Potremmo fermarci anche ogni giorno a “riflettere” sul male di quegli anni, ma senza il perdono si alimenta quell’odio meschino che cerchiamo di combattere. Ed è quindi per la stima che nutriamo per la Segre che pregheremo per lei, affinchè possa sperimentare la grazia del Cristianesimo, quella stessa grazia che il 14 agosto 1941 portò San Massimiliano Kolbe a perdonare i suoi carnefici.

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