Articolo di Arcangela D'Andrea, Maria Chiara Grana, Desideria Manzini
L'Infinito è il componimento che più descrive la sete di "Eterno" del poeta recanatese. Il desiderio di guardare oltre la siepe, il tempo che scorre rendendo vane le glorie presenti, il "naufragare" nella dolce sensazione dell'Infinito, rendono chiaro ciò che Leopardi desiderava.
A Recanati negli ultimi mesi è tempo di festa e omaggi a uno dei poeti più grandi della letteratura italiana: Giacomo Leopardi. Ricorrono, infatti, duecento anni dalla composizione de "L' infinito". Alzi la mano chi tra di noi abbia letto, fosse anche per un istante, un componimento di Leopardi senza cadere vittima del solito pregiudizio: “è pessimista”, “non ama la vita”, “è un depresso”. E invece non è affatto come ci hanno fatto credere a scuola gli insegnanti, troppo spesso distratti, o i nostri compagni di classe, succubi della stessa mentalità. Leopardi ha speso tutta la sua vita cercando di Amare la propria esistenza. Come si ama la propria vita? Cercando e trovandone un senso. Ecco Leopardi ha da sempre avuto questa splendida intuizione.
Dopo aver letto questo componimento per il lettore seguono momenti di meditazione, sospensione e gli si rivela una quasi lieta contraddizione: è proprio l'ostacolo (la siepe) che permette di desiderare l'Eterno che c'è dietro di essa. C'è quindi una provocazione a cercare cosa, o meglio, Chi si nasconda dietro ciò che il nostro semplice sguardo vede ma che al cuore dell'uomo non basta; l'umano ha bisogno dell'Infinito. Questa percezione dell'Eterno, caro Giacomo, noi l'abbiamo trovata ma la novità più sorprendente è che non è pura astrazione anzi ha un volto, un nome ed è entrato nel nostro tempo: Cristo. Tutto ciò che è attorno a noi e attrae il nostro sguardo è stato creato da Lui per noi affinché comprendessimo che siamo fatti per essere felici, liberi e per lasciarci stupire giorno dopo giorno.
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