L'UE come Hitler. La resistenza della Gran Bretagna
- Aficionados
- 6 feb 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Articolo di Leonardo Frascaria

Dalla mezzanotte dello scorso 31 Gennaio, Il Regno Unito è ufficialmente fuori dall’UE. La Brexit è fatta! "Abbiamo sconfitto Napoleone e Hitler, non potevamo farci comandare da Juncker e Von der Leyen" ha affermato il premier Boris Johnson. “Siamo fuori dal Quarto Reich” ha rincarato Nigel Farage. Sono parole forti su cui riflettere, ma che di certo non sorprendono
ll rapporto tra Regno Unito ed Unione Europea non è mai stato idilliaco. Storicamente, gli inglesi hanno sempre puntato all’indipendenza da qualsiasi forma di impalcatura europea sovranazionale. Nel dopo guerra, il grande stratega Winston Churchill detterà la linea inglese nei confronti delle comunità europee, la quale sarà mantenuta dalla maggior parte dei premier conservatori. Churchill affermava nel suo discorso al Parlamento l’11 maggio del 1953: “Da che parte stiamo? Non siamo membri della Comunità Europea di Difesa, né intendiamo unirci al sistema federale europeo. Eppure, sentiamo di avere una relazione speciale con entrambi. Questo concetto si può esprimere meglio mediante preposizioni, con la preposizione “con” piuttosto che con quella “di” – noi siamo “con” loro, ma non “di” loro. Noi abbiamo il nostro Commonwealth e il nostro Impero”. Nobile oratore fin dalla gioventù, Churchill riuscì profeticamente a condannare ciò che l’Unione Europea ha tristemente finito per diventare, con l'utilizzo di due semplici preposizioni: un blocco di potere monolitico, centralizzato nelle mani di Bruxelles.
Thomas Hobbes (filosofo e matematico britannico) nel 1651 definiva lo Stato un Leviatano (nome di una terrificante creatura biblica, nonché titolo della sua opera più celebre), un mostro che assoggetta tutto al suo potere autoritario: persone, formazioni sociali e la stessa Chiesa. Quasi 370 anni dopo quell’affermazione, mi permetto di riprendere Hobbes e definire anche questa Unione Europea un Leviatano che ha tradito ciò per cui era nata. Churchill non fu l’ultimo dei grandi oppositori a questo disegno europeo. Anche Margaret Thatcher, fece del grido “I want my money back!” lo slogan della sua battaglia contro i contributi finanziari inglesi all’Europa. Arrivò ad affermare ‘’Il nostro destino è in Europa, come parte della Comunità, ma questo non vuol dire che il nostro futuro risiede solo nell’Europa. La Comunità non è mero fine. Io sono la prima a dire che, su molte questioni, le nazioni europee dovrebbero parlare con una sola voce […] ma per lavorare insieme non c’è bisogno di centralizzare i poteri a Bruxelles, né di far prendere le decisioni ai burocrati”.
La battaglia di Boris Johnson e Nigel Farage è quindi la prosecuzione di un’antica battaglia inglese. I media hanno presentato per anni la Brexit come un processo lungo destinato a durare in eterno, dalle conseguenze deleterie e catastrofiche. Per anni hanno tuonato con toni apocalittici lanciando ininterrottamente falsi allarmi, insulti all’elettorato inglese. C’è chi ha persino invocato l’abolizione del suffragio universale. Ma la realtà è ben diversa: l’economia britannica va a gonfie vele (nell’ultimo quinquennio sono stati prodotti più posti di lavoro di tutti gli stati membri dell’UE messi insieme) e gli inglesi si confermano ancora una volta i ‘’masters of democracy’’, rispettosi della sovranità popolare e capaci di mettere in primo piano i propri interessi, senza svendersi ai poteri di Bruxelles.
Cosa accadrà adesso? Per i maggiori paesi contribuenti alle casse dell’Unione (l’Italia in questa classifica risulta essere al terzo posto, davanti a lei solo Germania e Francia) si prospetta un periodo non proprio semplice in termini di bilancio. Il budget UE è diviso in percentuali diverse tra i vari stati membri, fra questi l’Italia risulta contribuire al 9/10% che corrispondono a circa 15/17 miliardi. Come sarà colmato il vuoto del carico tributario (pari al 9,5% che si traduce in 16 miliardi annui) lasciato dalla Gran Bretagna? Ovviamente sarà ripartito fra gli stati membri, ma secondo il Ceps Policy Brief (centro di ricerca specializzato sugli affari europei), Francia, Germania e Italia vedranno il loro contributo aumentare notevolmente. Si parla per l’Italia di un aumento pari a 791 milioni (+ 5,22%). In conclusione: per mantenere in vita l’immenso Leviatano europeo, gli stati membri dovranno versare maggiori contributi con nuove imposte.
Sono previsione fosche. Per questo Nigel Farage ha invitato gli Stati membri ad adottare una posizione critica e di maggior realismo nei confronti dell’UE. “Voglio che la Brexit avvii un dibattito in tutta Europa” ha detto, “dobbiamo chiederci: cosa vogliamo dall’Europa?”.
E noi cattolici cosa vogliamo? Come ci poniamo davanti a un’Unione Europea tenuta in piedi da poteri forti che ci sottopongono a tassazioni esorbitanti?
L’auspicio è che l’Unione Europea riscopra il valore delle proprie radici cristiane, della propria identità, che rinneghi questo regime finanziario da usurai e torni ad annunciare il valore inestimabile della vita umana. Sarebbe un’Europa fondata sul matrimonio di uomo e donna, che non sopprime la libertà educativa. Un’Europa che non imprigioni, ma riconosca e rispetti la sovranità dei singoli Stati. Questo è quello che chiediamo. Gli inglesi hanno capito benissimo l’inganno, sono stati accusati di odiare l’Europa, dimenticando che l’hanno salvata per ben due volte. Gli Inglesi, come ha proclamato Farage, non odiano l’Europa, ma l’Unione Europea!
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