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Il TIME degli uomini liberi | P.2

di Redazione


«Quid animo satis?» Vacanza in Umbria dal 7 al 13 Agosto 2023


«Quid animo satis?». Che cosa basta al cuore? Una domanda prepotentemente presente nelle nostre vite e nelle vite di tutti coloro che conosciamo. Per qualcuno consapevolmente, per altri inconsciamente. Una domanda sempre presente e pronta a punzecchiare l’uomo leale dinanzi alle circostanze, e quindi davanti alla propria famiglia, il lavoro, l’università, la gioia, il dolore. Una domanda che ha determinato tutta la vita di tanti illustri personaggi, come il nostro amico Leopardi nel suo Canto notturno di un pastore errante dell’Asia:


«Quando miro in cielo arder le stelle; / Dico fra me pensando: / A che tante facelle? / Che fa l’aria infinita, e quel profondo / Infinito seren? che vuol dir questa / Solitudine immensa? ed io che sono?»

Io che sono? Perché vivo? Perché questo luogo? Perché questo lavoro? Perché non sono felice? Cosa mi basta? Il lavoro della nostra compagnia su “Il Senso Religioso” portato avanti durante l’inverno ha determinato la scelta del tema della vacanza di quest’anno in Umbria, patria del Medioevo e di amici che hanno dedicato tutta la loro vita a questa domanda come San Francesco, Santa Chiara e San Benedetto. Riportiamo integralmente alcuni appunti della serata di presentazione della vacanza:


«Nel Medioevo tutto è unito perchè dio centra con tutto. Che cosa basta al cuore? È la questione più seria di tutta la vita. In Umbria ci sono dei giganti che hanno guardato in faccia a questa domanda (Francesco, Benedetto). Cosa basta al cuore? L'unica cosa che può bastare non è dio, ma è dio fatto carne. Credere in Dio e basta non rende felici. «Quid animo satis?», dice Agostino. "Avevo capito tutto, che tu eri la felicità, ma non ne godevo". Se questo Dio non diventa una presenza, non diventa carne, non serve. Cosa basta al cuore? Gesù Cristo. L'infinito fatto carne. Questa è la sfida, non della vacanza, ma di tutta la vita. È vero o no che lui è la risposta? C'è un uomo che pretende di essere l'unica risposta al tuo cuore (questo non significa che il grido tace, ma viene accentuato). Quello che tu desideri poggia sull'incarnazione e la redenzione e ti raggiunge anche ora. Ti raggiunge in quella grande casa che è la chiesa e dentro quel segno così misterioso che è la chiesa. Questa roba qui è la risposta alla vita. La pretesa è questa: "io sono quello che desideri". L'immagine di San Francesco con le braccia allargate di fronte a tutto è l'immagine dell'uomo che vorrebbe abbracciare tutto eppure gli manca qualcosa. Ci muoviamo per incontrare volti che ci ridestino. Non basta averlo incontrato, bisogna incontrarlo ora. Non si può vivere di nostalgia»


Orvieto: lode a Dio, anche se rimanessimo in dodici.


«Gli uomini del medioevo vivevano nelle catapecchie e costruivano cattedrali. La cattedrale ti ricorda perché si vive, si affrontano i problemi e le sofferenze. Non si costruivano le cattedrali perché si stava bene, ma in tempore famis. La cattedrale era il segno dell'ideale, ricordava a tutti perché si vive. Il valore della vita è il rapporto con l'infinito, senza, la vita non ha senso. Il valore della vita è il rapporto con l'infinito.»


La vacanza Aficionados 2023 è cominciata con la visita della Cattedrale di Orvieto e dinanzi ad un’opera così imponente, tutti, colmi di stupore, ci siamo chiesti come fosse possibile che uomini che vivevano nelle catapecchie erano capaci di tanta bellezza. La risposta è subito data: visitando con attenzione il Duomo si poteva scorgere come i costruttori della cattedrale erano uomini determinati da una sola certezza: l’opera non doveva rendere lode al costruttore, ma a Dio. Ecco allora che anche la più piccola statua in alto, invisibile all’occhio umano, doveva essere perfetta perché doveva guardarla Dio. In un contesto storico e sociale caratterizzato dalla presenza di crisi, pestilenze, guerre e povertà questi uomini sono riusciti creare opere di un’elevata autenticità e bellezza, che lasciano a bocca aperta per la maestosità anche ottocento anni dopo; all’uomo del ventunesimo secolo è difficile comprendere come sia possibile tutto questo.


Prima tappa all’interno del duomo è la Cappella di San Brizio, e successivamente la cappella del Corporale. All’interno della Cappella di San Brizio, tra i meravigliosi affreschi del Beato Angelico, ciò che ha catturato la nostra attenzione è l’affresco della “Predica e fatti dell’Anticristo” del Signorelli. V’è rappresentato un uomo su un piedistallo che sta predicando alla folla: parla di pace e amore e sembra il Messi, soprattutto perché ha il volto identico a Gesù com’è conosciuto nell’iconografia medievale e rinascimentale; indugiando di più su questa figura, però, si può scorgere che il Signorelli mostra attraverso un particolare dell’affresco come Satana, che è dietro il messia, manovri l’anticristo; il braccio del demonio e quello dell’uomo coincidono, anzi, sembra proprio che il braccio del maligno sia infilato dentro la tunica dell’uomo, indicando in basso l’attaccamento ai beni materiali, facendo fuori i beni spirituali.


La folla è lì ad ascoltarlo, ma non è la stessa folla di quando parlava Lui. Tra la gente, mentre quest’uomo parla regna una grande confusione, regna l’istinto, v’è violenza tra gli uomini e spunta anche la figura di una prostituta intenta a ricevere denaro; ancora, sullo sfondo sono ritratte diverse scene: una guerra, l’anticristo intento ad assassinare chi non la pensa come lui e dall’altro lato intento a guarire i suoi devoti. Sembra, allora, che il male abbia vinto e che abbia in pugno tutto, ma, guardando meglio, si nota un gruppetto di uomini intenti a pregare­: dodici per l’esattezza, che si stringono in una rocciosa unità. Un domenicano tiene il libro aperto, un camaldolese indica la vittoria di San Michele su in cielo; poi altri monaci. Insomma un piccolo popolo tiene ancora viva la Verità, e sarà proprio quel gruppetto a salvare gli uomini dalla confusione. Quante analogie potremmo ritrovare in questo dipinto con ciò che quotidianamente viviamo. Il mondo sembra aver abbandonato la Verità aderendo alle prediche di un anticristo che serpeggia fra le tante ideologie mascherate da filantropia e che il filosofo e teologo russo Vladimir Soloviev ha descritto magistralmente nel suo brevissimo ma straordinario “Il racconto dell’Anticristo”.


Ma, anche se tutti aderissero alla sua spietata missione, ci sarà sempre un piccolo o grande gruppo, di gente a volte piena di limiti e non sempre affabile, ma da questi viene la salvezza, perché rimasti fedeli all’unica Verità dell’uomo: Cristo. Ne rimarranno in dodici, ma quei dodici potremmo essere noi.


Abbiamo concluso il giro del Duomo con la celebrazione della Messa nella Cappella del Corporale che custodisce la preziosa reliquia del miracolo di Bolsena, rappresentato con un ciclo di affreschi ai lati della Cappella. Nell’estate del 1263: un prete boemo, tormentato dal dubbio circa l’effettiva presenza del corpo e del sangue di Cristo nell’ostia consacrata, si era recato in pellegrinaggio a Roma per rafforzare la propria fede. Sulla via del ritorno, a Bolsena, celebrò la Messa e al momento della consacrazione vide stillare, dall’ostia spezzata, gocce di sangue che bagnarono il Corporale. Appresa la notizia del prodigio, il Sommo Pontefice Urbano IV, che risiedeva ad Orvieto, mandò il vescovo a prendere il sacro lino. San Tommaso d’Aquino ebbe l'incarico di comporre l’Ufficio del Corpus Domini, e l’11 agosto 1264, il Papa promulgò la bolla Transiturus, con cui istituì questa festività. Dopo aver celebrato la Messa abbiamo lasciato il Duomo incamminandoci verso il pullman che ci stava aspettando. Stanchi, certo, ma grati per quello che i nostri occhi hanno gustato e per quella donna che ha deciso di accostarsi ai sacramenti dopo aver partecipato alla S. Messa con noi ed essersi stupita del modo di pregare e di cantare che avevamo.


Sulle spalle dei giganti: San Francesco e Santa Chiara

«La Basilica è un messaggio scritto con la pietra e i colori da chi ha conosciuto Francesco»


Recarsi in Umbria significa scontrarsi con la figura di un gigante della fede, San Francesco. Iniziamo proprio da lui, attraverso il suo sguardo e il suo lascito, ad affrontare la domanda che ci siamo posti come tema per questa vacanza.


Francesco era figlio di un ricco mercante di stoffe, desiderato dalle belle donne e amante della giovinezza spensierata. Nel 1202 il valoroso cavaliere si impegnò nella guerra tra Assisi e Perugia e nella battaglia di Collestrada, in seguito alla vittoria dei perugini, fu catturato ed imprigionato. Dopo la sua liberazione, ad opera del riscatto del padre, il giovane Francesco decise di ripartire per combattere la Terza Crociata, ma giunto a Spoleto cambiò i suoi piani in seguito a una visione misteriosa facendo ritorno ad Assisi. Non vi sono sicurezze sulle cause del gesto, ma potrebbe trattarsi di una decisione presa per lo scatenarsi improvviso di quell’inquietudine che tutti noi portiamo dentro e che tremendamente esige una risposta. Tornato ad Assisi vivrà un periodo di grande riservatezza, iniziando a dedicarsi agli emarginati della società. Francesco inizierà a vivere con grande distacco dai beni materiali di cui aveva goduto fino ad allora, ritirandosi in luoghi solitari e lontani dagli ambienti mondani.

Quanto scalpore suscitò il gesto nella società di allora e quanto ne susciterebbe ancora oggi tra i conformisti a noi contemporanei. Un gesto all’apparenza folle che non trova una risposta logica. In realtà, la risposta è scomoda da accettare e per questo si cerca di velarla con favolette romantiche su San Francesco.


Francesco ha deciso di mollare tutto per guadagnare l’Infinito. Quell’Uomo che solo può saziare la sete di verità e giustizia. Quell’Uomo del Crocifisso di San Damiano, presso cui egli si recava quotidianamente in preghiera.


“Sommo e glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio, e dammi fede retta, speranza certa e carità perfetta, saggezza e conoscimento, o Signore, affinché io faccia il tuo santo e verace comandamento” (Preghiera davanti al Crocifisso, in K. Esser, Gli Scritti di S. Francesco d’Assisi, Ed. Messaggero, Padova 1982, pp. 452-453).

Proprio dal crocifisso di San Damiano, dopo insistenti preghiere, gli viene indicata la sua missione: «ripara la mia casa che è in rovina». Così Francesco, pieno di gioia per la strada indicatagli, si lancerà alla ricerca di fondi per riparare la Cappella di San Damiano. Le vicende del tempo narrano che Francesco, per ottemperare alla richiesta del crocifisso, rubava le stoffe dalla bottega di suo padre per rivenderle. Quest’episodio segna la rottura definitiva del rapporto tra il padre e il figlio, che giungerà al culmine quando nella pubblica piazza d’Assisi, dinanzi a suo padre e al Vescovo, si denuderà consegnando al padre le sue vesti in segno di risarcimento. Un gesto estremo ma caratterizzato dalla fermezza di un uomo certo di ciò che gli aveva stravolto la vita. Affermerà davanti a tutti: «Finora ho chiamato te mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in lui ho riposto mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza». V’è un padre, che è più padre di tutti noi. V’è un uomo che è più uomo di tutti noi. E’ quel Cristo che San Francesco adorava nel crocifisso di San Damiano. E’ quel Dio incarnato nel ventre di una ragazzina di quindici anni che ha detto a tutti «Io sono la via, la verità e la vita». Io sono la tua felicità. Io sono quello che desideri e quello che sazia il tuo cuore.


San Francesco ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca di quell’ Uomo che sazia il desiderio di felicità, e la Basilica che abbiamo visitato ne è l’esatta dimostrazione. La costruzione iniziò subito dopo la morte di Francesco e il mastodontico progetto fu portato a termine in soli due anni e al suo interno possiamo ammirare la vita del Santo attraverso gli affreschi di Giotto, Cimabue e Lorenzetti. La Basilica ci colpisce non solo per lo straordinario patrimonio artistico, ma perché fu costruita dal Popolo che aveva incontrato e conosciuto il Santo. La Basilica doveva essere la dimostrazione della grandezza del Santo e dell’Ideale che Francesco ha servito per tutta la vita.


Un santo per esser tale ha sempre bisogno di amici. Dio ha donato a San Francesco volti amici come Frate Leone, Frate Masseo, Frate Rufino e Frate Angelo, tutti sepolti insieme al Santo nella cripta inferiore della Basilica. Importantissimo per Francesco è stato l’incontro con Santa Chiara, alla quale abbiamo fatto visita in mattinata recandoci nella Basilica dove è custodito il corpo della santa fondatrice dell’ordine delle clarisse. San Francesco e Santa Chiara erano due amici accomunati da un animo folgorato dall’Incontro con Colui che ha stravolto le loro vite, facendoli abbandonare tutto per guadagnare l’Eterno.


Questi due santi ci hanno indicato la risposta alla domanda che ci siamo posti. Al cuore basta Lui. La nobiltà, la ricchezza, i lussi e i divertimenti non sono necessari.


«Niente e nessuno, tranne Dio»

Uno degli incontri più importanti della nostra vacanza è stato quello con Padre Cassiano, ex abate della comunità monastica dei Benedettini di Norcia. A Padre Cassian abbiamo chiesto: “Cosa basta al cuore?”. Netta la domanda e altrettanto netta la risposta:


«Niente e nessuno, tranne Dio».

Gli Uomini si riconoscono subito; non sono quelli che vanno in Tv o gli eroi che si fregiano di grandi imprese, ma sono quelli che nella vita hanno preso sul serio l’esigenza di felicità che tutti ci portiamo dentro. Padre Cassian aggiunge: «S. Agostino dice che ci sono due abissi, quello del cuore umano e quello di Dio. L'abisso dell'uomo è di miseria, quello di Dio è di misericordia. L'unico che basta a riempire il mio abisso».


A condurci al monastero di Norcia, è stato lo stupore di fronte al fatto che ci sono uomini e donne (vedremo dopo le clarisse) che decidono di fondare la propria vita sulla contemplazione di Dio, colui che colma il desiderio di felicità del cuore dell’uomo. Come lo stesso Padre Cassian ci ha spiegato, il monachesimo di San Benedetto da Norcia e la sua Regola è la risposta radicale al desiderio che ci portiamo dentro. Il dialogo con il monaco, alimentato da una serie di interrogativi sui diversi aspetti della quotidianità monastica, ci ha molto provocati sul tema della vita di comunità. Non è un caso. Vivere una comunità è sicuramente un dono che Dio concede all’uomo, affiancandogli degli amici che lo aiutino nella ricerca del Suo Volto. Spesso però, gli amici che ci vengono dati in questa compagnia si rivelano carichi di limiti e convivere con personalità e temperamenti diversi dal nostro costa una fatica, un lavoro. Padre Cassian spiega:


«La comunità: è un concetto non sempre compreso. Ci sono 4 tipo di amore: affetto (gli affetti che non scegliamo e ci sono dati), l'amicizia (si sceglie e di solito gli amici hanno qualche interesse comune che li unisce), l'eros è l'amore romantico, l'agape (è l'amore divino). Nel monastero si sperimenta l’” affetto", perché i confratelli sono lì, non li scegliamo noi. Si impara ad apprezzarne le qualità. Ma c' è un obiettivo che unisce, la ricerca di Dio. La diversità disperderebbe altrimenti».

Quello che noi viviamo è proprio quello di cui parla il benedettino. Viviamo un affetto tra persone che non si sono scelte ma sono accomunate da un avvenimento comune che ci ha resi parte della medesima storia. Siamo stati scelti, o meglio, chiamati. Chiamati per cercare il senso del nostro stare al mondo. Intravista la risposta, non si può che rimanere attaccati a questa unità perché chi ci ha scelti e ci ha messi in un determinato luogo, di fianco a determinati volti, è ben più forte dei nostri schemi sugli altri e dei nostri limiti. Insomma, dobbiamo essere radicali come i nostri amici monaci. La nostra unità è data dal legame a Gesù Cristo. Il lavoro è quello di imparare a guardare il confratello come segno di Qualcuno più grande.


L’incontro con Padre Cassian si conclude con la recita dei Vespri, insieme a tutti i monaci, nella cappella del monastero. Nel parlare di questo momento, ci ricolleghiamo ad un altro tema affrontato durante l’incontro: la Bellezza. «Dio ha creato il mondo con una certa armonia e l'uomo è stato creato per vivere in questa bellezza. La bellezza fa parte di Dio e noi cerchiamo di partecipare alla sua bellezza. La bellezza della liturgia è una partecipazione alla liturgia celeste.». Partecipare alla liturgia dei vespri dei monaci di Norcia è veramente una partecipazione alla Bellezza di Dio. Ognuno di noi ha avuto in quel momento la percezione di essere in un altro mondo dentro questo mondo. Partecipare a quel momento di preghiera ed imbattersi nei monaci oranti, in ordine rigoroso e in un’unità quasi soprannaturale, regala davvero la sensazione di essere a contatto con il divino.


Tutti, in qualche modo, abbiamo cercato di seguire la preghiera mediante il libretto che ci è stato dato all’ingresso della cappella, ma ad un certo punto abbiamo interrotto la lettura per abbandonarci alla contemplazione di quel piccolo “angolo di paradiso”. Questo sottolinea il ruolo fondamentale della liturgia nella vita di un credente, poiché una liturgia accuratamente preparata rende tangibile una Presenza. Terminata la recita dei vespri, salutiamo il nostro amico Padre Cassian e Giovanni Zennaro, un ragazzo che il benedettino ci ha presentato. Quest’uomo, affascinato fin da giovane dalla vita monastica dei Benedettini, ha scelto di trasferirsi con la sua famiglia nelle vicinanze del convento per aderire alla Regola come oblato benedettino, laici che hanno deciso di condurre la propria esistenza seguendo i principi della Regola. Come Giovanni, altre famiglie hanno deciso allo stesso modo di lasciare tutto per trasferirsi lì con loro e vivere la stessa esperienza, fondando il gruppo denominato “La Banda del Corvo e della Lupa”. L’incontro con Padre Cassiano e i monaci benedettini di Norcia ha indubbiamente provocato la nostra vita e di quel momento portiamo a casa il desiderio di vivere cercando Dio in modo radicale. Senza mezze misure.


Clarisse: libere e felici dietro una grata.

Per ultimo, ma non per importanza, riportiamo l’incontro con le clarisse all’interno del Monastero Clarisse S. Maria di Monteluce in S. Erminio di Perugia. Solitamente quando pensiamo alla clausura, ci viene in mente qualcosa di isolato o lontano da noi, e quasi sempre ci associamo un sentimento di pietà nei confronti di coloro che scelgono quella vita, quasi come se fossero meno fortunati di noi. Invece capita che in un caldo pomeriggio d’estate a Perugia ti ritrovi davanti Suor Agnese e Suor Francesca pronte a mandare in frantumi qualsiasi nostro pregiudizio. La prima, laureata in matematica con tanta carriera davanti, mentre la seconda altrettanto, novella neurochirurga. Eppure, nonostante la loro giovane età e le ottime prospettive di vita, ad un certo punto iniziano a percepire che quello che avevano ottenuto non bastava al proprio cuore. Il lavoro, la carriera, gli affetti o il ragazzo: niente bastava al cuore. Cosa bastava al loro cuore? E’ la domanda che abbiamo posto a tutti e anche a loro. «La monotonia pesa quando perdo di vista quello per cui sto facendo» affermano durante l’incontro le clarisse. Ciò sta a significare che nonostante i nostri sforzi di avere una vita perfetta, alla fine dimentichiamo il motivo per cui viviamo e facciamo tutto e di conseguenza succede che ci sentiamo annoiati. Ma per chi facciamo le cose? Nessuno ha risposto diversamente in questa vacanza se non «Gesù Cristo». Ma l’incontro con l’avvenimento cristiano non risolve i problemi della nostra vita, ci aiuta piuttosto a dargli un senso.

Per tale ragione il dialogo con Suor Agnese e Suor Francesca ha avuto come oggetto anche le circostanze che a volte non ci piacciono e abbiamo chiesto qual è il metodo per affrontarle. Le stesse ci hanno ricordato che le circostanze che ci troviamo ad affrontare sono la forma attraverso la quale Dio ci chiede di amarlo. Adesso in questo momento e non quando tutto andrà bene o sarà perfetto. Per poter vivere così sorge anche la necessità di una regola che può essere equiparata agli «argini di un fiume che non ti fa straripare».

«Gesù sulla croce non è stato bene, non gli piaceva tanto come alcune circostanze con noi ma quella è la strada richiesta.»

Occorre dunque ricordare sempre chi è che sta dietro ogni circostanza e chi ci chiede di vivere determinate situazioni per poter essere veramente liberi. Non è mancato all’interno del nostro dialogo di domandare un aiuto a vivere al meglio la nostra comunità, nonostante i tanti limiti che ci caratterizzano. In particolare le due monache ci hanno ricordato che


«la vita comunitaria è una scuola d'amore, sei costretto continuamente a misurarti con la diversità. La diversità fa scandalo. La gelosia, l'invidia, la vanagloria...».

Ognuno di noi è quindi costretto ad affrontare i limiti dell’altro, ma ciò non si traduce in uno scontro frontale, bensì in una scuola d’amore, una dolce definizione emersa durante l’incontro. Ma questa scuola d’amore non si fonda sulle nostre capacità di impegnarci in uno sforzo per amare i nostri amici, ma tutto avviene per grazia di Dio.


«Io non sono buona, sono cattiva, noi abbiamo solo il peccato tutto il resto è grazia di Dio. L'altro rivela la grazia di Dio. L'ideale di chiara era la santa unità. L'unità non ce la diamo da noi, ma è la presenza di Cristo che ci unisce. Tu puoi riconoscerlo o meno, fare prevalere le tue simpatia ma è oggettivo che siamo un corpo solo. Non prevale né la mia idea o la sua, ma qualcosa che mette insieme la sua. La nostra miseria è stata redenta. Sei davanti a una comunità che ti accoglie ogni giorno come fa il padre. Noi non siamo capaci di perdonare, "quello che non riusciamo a perdonare fa tu che lo perdoniamo" dice Francesco»

Solo dopo aver conosciuto le simpaticissime Suor Francesca e Suor Agnese ci siamo resi conto che la clausura non è poi così triste deprimente come ce la dipinge il mondo. Anzi, il carisma di queste nostre amiche ci dice l’esatto contrario. Ci parla di due donne, libere e felici, anche dietro una grata. Quella stessa grata a cui siamo chiamati anche noi che non viviamo una vocazione monastica, che rappresenta lo sguardo con cui vedere tutto le circostanze. Uno sguardo vergine, come lo aveva Cristo. Ancora una volta possiamo affermare che il tempo della vacanza, non è un tempo vuoto, ma un tempo in cui riempirsi. Noi siamo partiti con una domanda e siamo tornati pieni di una risposta. Non filosofica o ideologica, ma qualcosa di concreto ben presente nella nostra compagnia attraverso i volti di chi ci accompagna tutti i giorni: Gesù Cristo.


Grazie!





















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