Articolo di Michelangelo Socci
Durante la sua visita al memoriale della Shoah, Sergio Mattarella ci ha ricordato che “l’abisso del male è inimmaginabile e il dovere della memoria è la base per il futuro, per la convivenza del futuro”. Così il presidente ci ha spronato a non inibire la coscienza davanti alle efferatezze della Germania nazista. Purtroppo, però, la scia di sangue lasciata dai totalitarismi novecenteschi non si è fermata al 1945.
In questi giorni ricorre il trentennale del massacro di piazza Tienanmen. Il numero delle vittime è tutt’oggi incerto. Stando alla Croce Rossa, i morti furono circa 2600 e 30 mila i feriti. Secondo il cablogramma dell’allora ambasciatore britannico Alan Donald, le vittime ammontano a circa 10 mila (a fronte delle 319 del “bilancio ufficiale”). Sono dati drammatici, che fanno sorgere una domanda: abbiamo assolto il dovere di fare memoria di Tienanmen? Abbiamo avuto il coraggio di denunciare i crimini del comunismo cinese? Da allora, la Cina non è indietreggiata di un passo. Quando un giornalista gli ha chiesto di commentare la repressione del 4 Giugno 1989, il ministro della difesa Wu Qian ha risposto: “penso che in questi ultimi 30 anni, lo stabile processo di riforme e di sviluppo, e i risultati che sono stati raggiunti siano la risposta a questa domanda”. Come se non bastasse, il motore di ricerca cinese Baidu ha censurato tutti i contenuti legati al massacro del 4 Giugno. Non solo. In un articolo del Post, si legge che “per qualche anno, in occasione del 4 giugno è stata bloccata la parola ‘oggi’.” Una situazione molto preoccupante. Forse dovrebbe mettere sull’attenti i politici europei, in procinto di trattare col colosso cinese per la “nuova via della seta”. Insomma, nella Cina comunista l’omertà la fa da padrona. E in Occidente? All’epoca dei fatti, i giovani comunisti italiani si schierarono col regime. Una presa di posizione clamorosa, che portò il movimento cattolico di Gioventù Studentesca a diffondere un volantino di denuncia. “Non si tratta di violazione degli ideali del socialismo, ma di atrocità del comunismo” si leggeva. “Urss, Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia, Cambogia, Vietnam, Afghanistan, Cina: ogni qualvolta si mette in discussione il potere comunista, c’è una repressione sanguinosa.” “Le atrocità del comunismo” concludevano, “sono così ricorrenti che l’Occidente sembra quasi essersi stancato di prenderle in considerazione. E questa è la menzogna dell’Occidente, che campa sulle disgrazie altrui.” Oggi la posizione dei media e degli intellettuali occidentali è ambivalente. Su tv e giornali circolano filmati ed immagini del massacro, accompagnati dai j’accuse di qualcuno. Tuttavia, è evidente come parlare di crimini del comunismo continui a destare imbarazzo. Basti pensare al filosofo Vittorio Alberti, che sul sito dell’Huffington Post ha pubblicato un video in occasione del trentennio dal massacro. Pur condannando la “retorica, che opprime e soffoca il ragionamento”, il filosofo si abbandona ad una tortuosa meditazione dalle argomentazioni incerte. Partendo dalla generica condanna dei nazionalismi, conclude con una riflessione sulla conquista del voto delle donne in Italia. Curioso che Alberti non nomini mai il vero mandante dei crimini di piazza Tienanmen: il comunismo. Altri si sono schierati ancora più esplicitamente. I redattori del sito marx21.it, il 3 Giugno, si sono eloquentemente limitati a riproporre il discorso che Deng Xiaoping tenne per legittimare il massacro di Pechino. Per quanto ancora l’omertà e la reticenza di alcuni graverà sulla coscienza dell’Occidente?
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